PROGETTO EMERGENZA COVID - SANITARIO
PROGETTO EMERGENZA COVID - SANITARIO
“Da settimane sembra che la sera sia calata. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante… Anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme... Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: ‘che tutti siano una cosa sola’ “
(Papa Francesco, Benedizione Urbi et Orbi, 27 Marzo 2020)
La Conferenza Episcopale Italiana, anche in questo momento così tragico per il nostro Paese, vuole rispondere all’appello del Papa cercando di essere “una cosa sola” con i fratelli e le sorelle che vivono nei Paesi meno fortunati del nostro, dove la pandemia inizia a colpire e dove le carenze dei servizi sanitari potrebbero moltiplicarne la mortalità e la mancata consapevolezza nella popolazione dei rischi connessi ne potrebbero favorire grandemente la diffusione.
Si intende pertanto dotare le strutture sanitarie presenti in questi Paesi - soprattutto quelle più prossime alla popolazione, più periferiche, di dispositivi di protezione per il personale sanitario, indispensabile alla gestione dell’emergenza, e di strumenti terapeutici basilari per l’affronto della pandemia.
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE E STRUMENTI TERAPEUTICI DONATI ALLA MISSIONE
2.000 mascherine chirurgiche
550 mascherine protettive speciali FFP3 o simili
30000 guanti (misure M e L)
100 occhiali protettivi e/o schermi per viso
40 stivali (paia)
550 guanti pesanti per inservienti
80 grembiuli per staff e inservienti
80 body bags e/o sacchi in plastica per rifiuti infetti
500 gel idroalcolico pronto o componenti (litri)
40 sapone liquido (litri)
40 ipoclorito di sodio o similari (litri)
10 Pulsossimetro
1 Concentratore di ossigeno
10 Termometro a infrarossi
RELAZIONE CONCLUSIVA
Situata nell’interno della foresta tropicale nel Nord del Congo, la missione di Sembé delle Suore Francescane Missionarie del Sacro Cuore è inserita da quasi 25 anni nell’area che fa riferimento ad uno dei rari e grandi villaggi che sorgono lungo la pista sterrata che si insinua nella foresta primaria, esclusa dalle vie di comunicazione del Paese e dalle opportunità degli scambi commerciali.
Nell’area di Sembé, ma anche più all’interno della fitta vegetazione, vivono piccoli nuclei dei pigmei baka, il popolo della foresta stimato tra le 20 e le 40 mila unità; da sempre nomadi, un tempo potevano spostarsi liberamente nel cuore della boscaglia, vivendo di caccia e di raccolta.
Adesso assistono inermi alla distruzione del loro mondo, poiché non hanno alcun diritto, né la forza per opporsi ai bulldozer delle multinazionali del legno, che radono al suolo ogni cosa che incontrano, accampamenti compresi.
Negli spazi aperti la popolazione dei bakwele (bantù) abita in costruzioni dai muri di argilla e di fango, con i tetti ricoperti di stuoie e di rami di palma; al centro, sui lati della pista sterrata e dissestata i musulmani immigrati formano la loro comunità e circondano le loro abitazioni poste dietro alle piccole botteghe con delle lamiere ondulate che donano al paesaggio l’aspetto caotico di una barriera multiforme.
Lo stato di isolamento e di abbandono rende l’area di Sembè e dei piccoli villaggi limitrofi particolarmente vulnerabile ad una condizione di povertà assoluta e di perenne esposizione alle tante malattie endemiche come la malaria, la sieropositività infantile, l’HIV/AIDS, la diarrea, il colera, la malnutrizione e la denutrizione.
Il Centre Medical Shalom rappresenta il solo punto di riferimento per una popolazione che, fino a pochi anni fa, non ha conosciuto il diritto alla salute e ripone nella presenza delle mie consorelle la speranza per sconfiggere tante situazioni assurde di malattia e di mortalità.
Loro stanno portano avanti un’instancabile azione di promozione umana per contrastare una grave situazione sanitaria, soprattutto al riguardo della mortalità infantile e della salute riproduttiva della donna.
La struttura si compone di alcuni padiglioni comprendenti: sala operatoria, diagnostica medicale, maternità, medicina, chirurgia, pediatria, maternità, reparto infetti e laboratorio.
Quest’ultimo è stato recentemente ampliato e attrezzato con modernissimi strumenti tanto da diventare anche Banca del sangue.
Il Centre Medical Shalom è stato designato dal Ministero della Salute come “Hospital de référence” per quanto riguarda pandemia Covid, TBC, AIDS e Centro Trasfusionale, anche se di fatto non ha fornito in nessun modo, assistenza specializzata e dispositivi di sicurezza.
In quest’ottica il sostegno giunto dalla Conferenza Episcopale Italiana è sembrato un raggio di luce nell’azione di contrasto alla pandemia.
Le mascherine chirurgiche e le mascherine protettive, i guanti, gli occhiali, gli stivali, i grembiuli, i sacchi di plastica, il gel igienizzante e il sapone liquido, alcuni termometri a infrarossi, un concentratore di ossigeno e alcuni pulsossimetri hanno rappresentato un tesoro incalcolabile, anche perché consegnati al personale medico, ai malati e alla popolazione di riferimento con le istruzioni e le raccomandazioni al corretto utilizzo.
In un contesto poverissimo come quello di Sembé una linea di comportamento condiviso con la popolazione può rappresentare l’argine alla diffusione del virus.
Il distanziamento sociale, per certi versi improponibile nei villaggi dove pure non mancano gli spazi aperti, è stato garantito dall’utilizzo della mascherina e dall’osservanza delle più elementari norme igieniche, come il lavaggio delle mani con i prodotti igienizzanti.
E’ stato evidenziato come tutto è stato reso possibile per la generosità della Conferenza Episcopale Italiana.
Anche se è presto per trarre delle conclusioni, il contagio ad una prima lettura è stato contenuto dalla tempestività del progetto.
Ora la gente dei villaggi ha compreso e si adopera per mantenere delle regole di convivenza che, alla distanza, significheranno il contenimento efficace alla diffusione del Covid-19.
“Da settimane sembra che la sera sia calata. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante… Anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme... Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: ‘che tutti siano una cosa sola’ “
(Papa Francesco, Benedizione Urbi et Orbi, 27 Marzo 2020)
La Conferenza Episcopale Italiana, anche in questo momento così tragico per il nostro Paese, vuole rispondere all’appello del Papa cercando di essere “una cosa sola” con i fratelli e le sorelle che vivono nei Paesi meno fortunati del nostro, dove la pandemia inizia a colpire e dove le carenze dei servizi sanitari potrebbero moltiplicarne la mortalità e la mancata consapevolezza nella popolazione dei rischi connessi ne potrebbero favorire grandemente la diffusione.
Si intende pertanto dotare le strutture sanitarie presenti in questi Paesi - soprattutto quelle più prossime alla popolazione, più periferiche, di dispositivi di protezione per il personale sanitario, indispensabile alla gestione dell’emergenza, e di strumenti terapeutici basilari per l’affronto della pandemia.
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE E STRUMENTI TERAPEUTICI DONATI ALLA MISSIONE
2.000 mascherine chirurgiche
550 mascherine protettive speciali FFP3 o simili
30000 guanti (misure M e L)
100 occhiali protettivi e/o schermi per viso
40 stivali (paia)
550 guanti pesanti per inservienti
80 grembiuli per staff e inservienti
80 body bags e/o sacchi in plastica per rifiuti infetti
500 gel idroalcolico pronto o componenti (litri)
40 sapone liquido (litri)
40 ipoclorito di sodio o similari (litri)
10 Pulsossimetro
1 Concentratore di ossigeno
10 Termometro a infrarossi
RELAZIONE CONCLUSIVA
Situata nell’interno della foresta tropicale nel Nord del Congo, la missione di Sembé delle Suore Francescane Missionarie del Sacro Cuore è inserita da quasi 25 anni nell’area che fa riferimento ad uno dei rari e grandi villaggi che sorgono lungo la pista sterrata che si insinua nella foresta primaria, esclusa dalle vie di comunicazione del Paese e dalle opportunità degli scambi commerciali.
Nell’area di Sembé, ma anche più all’interno della fitta vegetazione, vivono piccoli nuclei dei pigmei baka, il popolo della foresta stimato tra le 20 e le 40 mila unità; da sempre nomadi, un tempo potevano spostarsi liberamente nel cuore della boscaglia, vivendo di caccia e di raccolta.
Adesso assistono inermi alla distruzione del loro mondo, poiché non hanno alcun diritto, né la forza per opporsi ai bulldozer delle multinazionali del legno, che radono al suolo ogni cosa che incontrano, accampamenti compresi.
Negli spazi aperti la popolazione dei bakwele (bantù) abita in costruzioni dai muri di argilla e di fango, con i tetti ricoperti di stuoie e di rami di palma; al centro, sui lati della pista sterrata e dissestata i musulmani immigrati formano la loro comunità e circondano le loro abitazioni poste dietro alle piccole botteghe con delle lamiere ondulate che donano al paesaggio l’aspetto caotico di una barriera multiforme.
Lo stato di isolamento e di abbandono rende l’area di Sembè e dei piccoli villaggi limitrofi particolarmente vulnerabile ad una condizione di povertà assoluta e di perenne esposizione alle tante malattie endemiche come la malaria, la sieropositività infantile, l’HIV/AIDS, la diarrea, il colera, la malnutrizione e la denutrizione.
Il Centre Medical Shalom rappresenta il solo punto di riferimento per una popolazione che, fino a pochi anni fa, non ha conosciuto il diritto alla salute e ripone nella presenza delle mie consorelle la speranza per sconfiggere tante situazioni assurde di malattia e di mortalità.
Loro stanno portano avanti un’instancabile azione di promozione umana per contrastare una grave situazione sanitaria, soprattutto al riguardo della mortalità infantile e della salute riproduttiva della donna.
La struttura si compone di alcuni padiglioni comprendenti: sala operatoria, diagnostica medicale, maternità, medicina, chirurgia, pediatria, maternità, reparto infetti e laboratorio.
Quest’ultimo è stato recentemente ampliato e attrezzato con modernissimi strumenti tanto da diventare anche Banca del sangue.
Il Centre Medical Shalom è stato designato dal Ministero della Salute come “Hospital de référence” per quanto riguarda pandemia Covid, TBC, AIDS e Centro Trasfusionale, anche se di fatto non ha fornito in nessun modo, assistenza specializzata e dispositivi di sicurezza.
In quest’ottica il sostegno giunto dalla Conferenza Episcopale Italiana è sembrato un raggio di luce nell’azione di contrasto alla pandemia.
Le mascherine chirurgiche e le mascherine protettive, i guanti, gli occhiali, gli stivali, i grembiuli, i sacchi di plastica, il gel igienizzante e il sapone liquido, alcuni termometri a infrarossi, un concentratore di ossigeno e alcuni pulsossimetri hanno rappresentato un tesoro incalcolabile, anche perché consegnati al personale medico, ai malati e alla popolazione di riferimento con le istruzioni e le raccomandazioni al corretto utilizzo.
In un contesto poverissimo come quello di Sembé una linea di comportamento condiviso con la popolazione può rappresentare l’argine alla diffusione del virus.
Il distanziamento sociale, per certi versi improponibile nei villaggi dove pure non mancano gli spazi aperti, è stato garantito dall’utilizzo della mascherina e dall’osservanza delle più elementari norme igieniche, come il lavaggio delle mani con i prodotti igienizzanti.
E’ stato evidenziato come tutto è stato reso possibile per la generosità della Conferenza Episcopale Italiana.
Anche se è presto per trarre delle conclusioni, il contagio ad una prima lettura è stato contenuto dalla tempestività del progetto.
Ora la gente dei villaggi ha compreso e si adopera per mantenere delle regole di convivenza che, alla distanza, significheranno il contenimento efficace alla diffusione del Covid-19.